Il debutto della Nintendo Switch 2, previsto per il giugno 2025, si preannuncia come uno degli eventi più significativi dell’anno videoludico, ma al tempo stesso sta facendo emergere scenari inediti dal punto di vista economico. Secondo alcune fonti vicine all’industria, la casa di Kyoto starebbe preparando un cambiamento strategico senza precedenti: vendere la console in perdita, almeno nelle prime fasi del lancio.
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Un hardware più costoso del previsto
Al centro di questa svolta ci sarebbe il nuovo chip, cuore tecnologico della console, che secondo gli analisti raggiunge da solo un costo di 150 dollari a unità, quasi il doppio rispetto all’attuale SoC della Switch originale. Questo componente, unito al miglioramento di schermo, memoria e sistema di raffreddamento, porta il costo complessivo dei materiali (Bill of Materials) vicino ai 400 dollari.
Il prezzo di vendita fissato a 450 dollari, se confermato, garantirebbe margini estremamente ridotti. Considerando le spese accessorie come trasporto, distribuzione, promozione e assistenza post-vendita, Nintendo si troverebbe nella posizione insolita di coprire costi superiori ai ricavi iniziali per ogni unità.
Una rottura con la tradizione Nintendo
Nintendo si è sempre distinta dalle rivali Sony e Microsoft per una strategia precisa: evitare di vendere console in perdita, puntando a guadagni già dalla vendita dell’hardware. La prima Switch, lanciata nel 2017 a 299 dollari, è un esempio perfetto di questa filosofia. Ma con la nuova generazione, la casa giapponese sembra intenzionata a rompere con questa regola storica.
Secondo l’analista giapponese Hideki Yasuda, questa scelta è dettata dalla volontà di competere aggressivamente sul mercato, soprattutto considerando l’aumento dei costi produttivi e la necessità di proporre una console sufficientemente moderna e potente per attrarre sviluppatori di terze parti. Per Nintendo, che gode di solidità finanziaria, si tratterebbe di una perdita calcolata, utile a spingere le vendite fin dall’inizio.
L’incognita dei dazi e delle tensioni internazionali
A complicare ulteriormente il quadro ci sono le nuove misure doganali statunitensi, che hanno modificato drasticamente i costi di importazione per l’elettronica. Con l’aumento dei dazi al 125% per la Cina, Nintendo ha deciso di spostare parte della produzione in Vietnam e Cambogia, dove le tariffe sono state ridotte al 10%. Tuttavia, questi cambiamenti sono soggetti a una finestra temporale di 90 giorni, attiva fino all’8 luglio, poco dopo il lancio della console.
L’analista Robin Zhu ha sottolineato che, senza questi correttivi, il prezzo della Switch 2 sarebbe potuto arrivare addirittura a 550 dollari, rendendo il prodotto fuori portata per molti consumatori. Invece, Nintendo ha scelto di mantenere il prezzo a 450, assorbendo parte del colpo a livello di margini di profitto.
Un prezzo più alto, ma accettato
Anche al netto dell’inflazione, i 50 dollari in più rispetto al lancio della Switch originale rappresentano un cambio di passo evidente nella strategia commerciale di Nintendo. Il portavoce Bill Trinen ha giustificato l’aumento come “una conseguenza naturale dell’aumento dei costi in tutti i settori”, ma alcuni esperti ritengono che si tratti piuttosto di un rialzo consapevole, legato alla forza del marchio e alla disponibilità del pubblico ad accettare il prezzo.
La vera sfida sarà capire se i consumatori risponderanno con entusiasmo o con cautela. Di certo, la Switch 2 rappresenta un test cruciale, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche economico e strategico, che potrebbe influenzare il futuro delle console ibride e il posizionamento di Nintendo nel mercato globale.