Steel Seed, nuova creatura dello studio italiano Storm in a Teacup, ci catapulta in un mondo morente, dove l’umanità sopravvive sotto il giogo freddo e asettico delle macchine. Dopo l’intrigante Close to the Sun, il team romano torna con un’esperienza più cupa, introspettiva e stratificata, che mescola furtività, azione e narrazione con sorprendente equilibrio.
Un mondo che respira tecnologia e decadenza
Il futuro disegnato in Steel Seed è tanto affascinante quanto angosciante: un’umanità confinata in una struttura sotterranea, vittima e al contempo protetta da un’intelligenza artificiale onnipresente. Gli ambienti sono labirintici, freddi, dominati dal metallo e dal silenzio, interrotti solo dai passi di pattuglia dei droni e dai sussurri di terminali abbandonati. È un mondo narrato più che spiegato, dove ogni dettaglio ambientale sussurra pezzi di storia a chi ha la pazienza di ascoltare.
Zoe e Koby: l’alleanza tra carne e circuito
Protagonista dell’avventura è Zoe, giovane combattente in cerca di verità, accompagnata da Koby, un piccolo drone autonomo tanto utile quanto carismatico. Il duo si muove tra i corridoi della struttura come un’unità affiatata: Koby non è solo un supporto tecnico, ma diventa parte integrante del gameplay e della narrazione, offrendo hacking, distrazioni e persino dialoghi che alleggeriscono la tensione.
Infiltrazione prima di tutto
Il cuore dell’esperienza ruota attorno all’approccio stealth: le macchine sono letali e numerose, e spesso l’unica via è quella dell’ombra. Il gioco invita a osservare i percorsi, studiare i pattern e usare l’ambiente a proprio vantaggio. Il level design offre percorso multipli, spesso verticali, con spazi pensati per il parkour e l’esplorazione, premiando chi si prende il tempo di cercare alternative.
Quando evitare non è possibile, entra in gioco un combat system ibrido, dove le abilità corpo a corpo si fondono con armi tecnologiche e il supporto di Koby. Il combattimento è fluido ma mai preponderante: Steel Seed non è un action frenetico, ma una danza tesa tra scelta e conseguenza.
Atmosfera e narrazione silenziosa
La forza del gioco risiede anche nella sua narrazione visiva: non ci sono lunghi monologhi né spiegoni invasivi. Il mondo parla da sé, tra pannelli rotti, luci tremolanti, architetture oppressive e frammenti digitali da recuperare. La colonna sonora è minimale, quasi assente, e lascia spazio al suono dell’ambiente, accentuando l’isolamento e la tensione.
Una sfida mentale e sensoriale
Sul piano tecnico, Steel Seed si presenta pulito e ottimizzato: animazioni fluide, caricamenti rapidi e una IA nemica abbastanza reattiva da garantire sfide intelligenti. L’esperienza è pensata per chi ama riflettere prima di agire, per chi cerca storie da scoprire più che da consumare, e per chi apprezza la coerenza tematica più della libertà assoluta.
Steel Seed non è per tutti. È un titolo che richiede attenzione, pazienza e una certa predisposizione alla solitudine videoludica. Ma chi accetta il suo ritmo e si lascia trasportare dal suo mondo potrà vivere un viaggio toccante, oscuro e, in fondo, profondamente umano. Un’opera che dimostra come anche i piccoli studi possano proporre esperienze narrative mature e memorabili.