Duil Recensione: un action-platformer che unisce la narrativa alle scelte morali

Duil è un action-platform oscuro che non si limita a cavalcare l’onda dei metroidvania cupi e vendicativi, ma prova a definire una propria identità attraverso una struttura narrativa pesante, un sistema di morte originale e un mondo che vive e muore sotto i nostri occhi. Qui non ci sono eroi luminosi o destini gloriosi: ci sei tu, un uomo condannato all’immortalità, spogliato di tutto, costretto a rinascere nel dolore e a piegare la maledizione a tuo vantaggio. La premessa non è semplicemente vendicarsi ma scavare, strato dopo strato, nella carne marcia di un regno distrutto e nella coscienza del protagonista, fino a capire che la vendetta è solo la porta d’ingresso verso qualcosa di molto più grande.

Il fascino di Duil risiede proprio nella sua disperazione controllata. La caduta del regno di Targat e l’ascesa dell’armata non-morta di Vezruvil sono la cornice, ma la narrativa si costruisce lentamente, attraverso incontri stranianti, dialoghi criptici, scelte morali e un’ambientazione che sussurra più di quanto mostri. È un mondo maledetto che non punta tutto sull’orrore grafico, ma su una malinconia diffusa, su rovine che raccontano, su personaggi che sembrano sospesi tra follia e rassegnazione. Ogni passo, ogni stanza nascosta, ogni reliquia trovata dà la sensazione di svelare un frammento di verità, e questo rende l’esplorazione un pilastro emotivo oltre che ludico.

L’idea dell’eroe immortale è sfruttata con intelligenza. Non si tratta di un potere trionfante, ma di una condanna: morire significa essere trascinati in un labirinto d’ombra, un purgatorio da superare per tornare nel mondo reale, perdendo un oggetto a ogni fallimento. Immortale, ma vulnerabile: non è una semplice meccanica punitiva, è una dichiarazione tonale. Il gioco spinge a valutare ogni scontro, a gestire l’inventario con timore, a vivere la morte come una ferita narrativa e non solo come un reset.

Il combattimento unisce melee pesante, fendenti precisi e magie oscure da apprendere e potenziare. Non è immediato né caotico: richiede lettura, tempismo, gestione delle risorse e la capacità di sfruttare evocazioni soprannaturali che trasformano alcuni scontri in scenari rituali, dove accanto alla spada combattono entità che sembrano strappate dall’abisso. Il senso di progressione ruota su armi devastanti, reliquie arcane, incantesimi e abilità che modellano lo stile del giocatore. Non si cresce solo in potenza, ma in carattere: ogni scelta pesa, ogni oggetto perso può cambiare drasticamente il ritmo dell’avventura.

Le boss fight rappresentano la sintesi dell’opera: dure, simboliche, intrise di un’autorialità che punta più alla tensione emotiva che alla spettacolarità sterile. I nemici non sono solo ostacoli ma incarnazioni del dolore del mondo, e ogni vittoria è una conquista psicologica oltre che tecnica. La rigiocabilità è rafforzata dal sistema di decisioni: misericordia o ferocia, redenzione o annientamento, con finali diversi che non sembrano semplice fan service, ma esiti naturali di un percorso moralmente sporco.

La forza di Duil è tutta nella sua autenticità. Non ammicca, non semplifica, non vuole essere accogliente: vuole trascinare il giocatore in una rovina che brucia lentamente, dove ogni passo avanti è guadagnato e ogni scelta lascia una cicatrice. La componente RPG è solida e significativa, la narrazione si sviluppa attraverso scoperta e perdita, e la totale coerenza tra atmosfera, gameplay e temi dà all’esperienza un peso raro.

Non è un gioco per chi cerca comfort: è un viaggio nella vendetta che non conforta e non libera, ma trasforma.Duil si presenta come un’esperienza cupa, raffinata, piena di segreti e di conseguenze, capace di colpire tanto per la sua brutalità quanto per la sua malinconia. Un titolo che sa essere duro, poetico e spietato, e che invita a tornare non per leggerezza, ma per inquietudine, curiosità e fame di verità.