Duck Detective: The Ghost of Glamping è un piccolo gioiello narrativo che sorprende ancora una volta per charme, umorismo intelligente e un cuore insospettabile sotto l’aspetto buffo della sua improbabile star: Eugene McQuacklin, un’anatra detective malinconica, divorziata e afflitta da una dipendenza tragica quanto comica dal pane. Il nuovo episodio conserva l’anima del predecessore, The Secret Salami, ma la espande con una sensibilità più matura, una scrittura affilata e una consapevolezza sorprendente del proprio stile.
L’avventura è breve, circa 2-3 ore, ma ogni minuto è costruito con precisione e intenzione. La struttura di gioco ripropone il mix perfetto tra investigazione classica e puzzle linguistici: si raccolgono indizi, si parlano i sospetti, si osservano oggetti e si arriva a definire deduck-zioni brillanti riempiendo spazi vuoti con le parole giuste. Questa meccanica semplice, in apparenza giocosa, si rivela ancora una volta un modo fresco e genuino di vivere il genere investigativo senza appesantirlo con sistemi complessi o forzature.
Il contesto del glamping infestato aggiunge un gusto delizioso alla formula. Non siamo davanti a un horror, bensì a una commedia noir dove i presunti fantasmi sono soprattutto metafore: più che spiriti, a tormentare il protagonista ci sono i rimpianti, la solitudine e il costante rumore di fondo del proprio fallimento sentimentale. Eppure, il gioco non si lascia mai andare alla tristezza; gioca con il tono malinconico, lo accarezza, lo riconosce, ma trova sempre la risata, il momento assurdo, la battuta tagliente che spezza la tensione con eleganza.

Il nuovo partner che affianca l’anatra detective è una trovata riuscita: porta dinamiche fresche e dialoghi frizzanti, costringendo McQuacklin a fare i conti non solo con l’indagine, ma anche con la propria incapacità di aprirsi e collaborare davvero. Il rapporto tra i due diventa quasi la spina dorsale emotiva dell’esperienza, un percorso di crescita mascherato da buffo buddy-mystery animato.
Dal punto di vista estetico, il gioco resta fedelissimo al registro visivo che ha definito la serie: modelli stilizzati, animazioni volutamente semplici, palette morbide e una direzione che predilige l’atmosfera rispetto al dettaglio tecnico. Il doppiaggio invece sorprende ancora di più: ogni personaggio è completamente doppiato, con interpretazioni brillanti e perfettamente calibrate sull’umorismo british e sul tono peculiare della narrazione.

Sul fronte ludico, l’esperienza resta volutamente contenuta e accessibile. Non ci sono dead-end, non ci si blocca mai davvero e il gioco punta più sul piacere dell’indagine che sulla sfida pura. È una scelta precisa, e chi cerca enigmi duri o trame complesse potrebbe desiderare maggiore profondità. Ma per chi apprezza narrazioni compatte, intelligenza, ritmo e personaggi memorabili, questa formula continua a funzionare in maniera impeccabile.
Il vero valore di Duck Detective: The Ghost of Glamping sta nella sua umanità, paradossalmente incarnata da un’anatra goffa e piena di rimpianti. È una storia amara ma dolce, assurda ma toccante, un piccolo titolo che riesce a far ridere, riflettere e affezionarsi nel giro di pochi dialoghi. E quando i titoli di coda scorrono, resta quella sensazione preziosa di aver vissuto qualcosa di genuino, onesto, scritto da persone che amano davvero ciò che fanno.

Un’altra indagine chiusa, altri misteri risolti, qualche briciola di pane divorata… e la certezza che, tra una battuta e una piuma arruffata, ci sia ancora spazio per videogiochi piccoli, brillanti e profondamente sinceri.